Condividi su:
Tempo di Lettura: 3 min

Si viaggiare… dolcemente viaggiare cantava qualcuno! Ma ahimè non sempre è possibile: e allora che si fa? Come facciamo noi inguaribili viaggiatori, positivamente affetti dalla sindrome di Wanderlust , quando non possiamo riempire la nostra valigia di nuove emozioni?

La soluzione è a portata di mano, anzi, a portata di palato! Io lo faccio spesso, amo provare altri modi di miscelare i sapori, di interpretarli, di testimoniare la propria cultura attraverso il piacere della tavola.

Ogni appartenenza etnica si definisce, oltre che per i tratti somatici, la lingua parlata, la religione in cui crede, anche in relazione ai cibi che consuma. E, ogni prodotto, piatto, ricetta esprime un significato che racchiude in sé un valore simbolico. Il sistema alimentare di un popolo, se riusciamo ad interpretarlo non solo come qualcosa che soddisfa pancia e palato, porta con sé tradizioni, cultura e identità ben precise e, a pensarci bene, è anche un modo facile ed immediato per entrare in contatto con altre culture:

Il cibo è un linguaggio universale per poter comunicare tra popoli anche senza conoscere l’uno la lingua dell’altro, che ci mette subito in connessione proprio come una rete internet, ma in maniera decisamente più romantica.

I costumi alimentari rappresentano un tratto distintivo di una determinata popolazione e in effetti, quando mangio una pietanza straniera, immagino proprio di essere nel Paese da cui provengono quei sapori, dietro i quali c’è un pensiero, una filosofia di vita ed una storia del territorio che si proietta nella scelta degli ingredienti e delle preparazioni.

Io amo molto il cibo indiano e quello giapponese. Il primo per la sua spezialità e vivacità, il secondo per il suo gusto fresco e delicato. Senza volerlo ho citato due modi di nutrirsi l’uno all’esatto opposto dell’altro; se il primo, quello indiano, è lo specchio di una società colorata e caotica – avete presente un film di Bollywood? 🙂 – il secondo, quello nipponico, riproduce la loro delicatezza nei modi e meticolosità.

Quando assaporo il gusto indiano mi vedo camminare tra i loro popolosi mercati, ricchi di spezie colorate, abiti, tappeti e sento le voci dei commercianti, in un indiano tutto mio, che tentano di attirare l’attenzione dei passanti. Così come immagino di prendere il thé con le gambe incrociate su uno di quei loro fantastici tappeti.

cibo indiano
Scatto di alcune pietanze tipiche indiane – con l’immancabile braccio di Manù 🙂

Mentre quando faccio scorpacciate di sushi mi vedo “fasciata” in un bellissimo kimono che cammino goffa (non deve essere facile muoversi in quegli abiti, ma le donne vengono addestrate) sui geta (le loro tradizionali calzature, incrocio tra zoccoli e sandali). A tal proposito mi viene subito in mente il film “Memorie di una Geisha“. Ma mangiare cibo del Sol Levante mi trasporta anche in un bellissimo prato dove assisto alla tradizionale cerimonia della fioritura degli alberi di ciliegio, l’Hanami.

Piccola parentesi: sai che a Roma è possibile assistere a questa tradizione nipponica? Se ti va leggi il nostro articolo in merito al laghetto dell’Eur dove ogni anno si celebra questa cerimonia.

Alessandra che mangia con le bacchette
Io alle prese con le bacchette 🙂

Prima di chiudere questo breve giro per l’India e il Giappone, attraverso i miei viaggi sensoriali, voglio condividere con te una frase che ho letto sulle mura di un ristorante eritreo romano, che racchiude appieno il significato del cibo nel continente africano.

concetto di cibo in africa
Credit: Ristorante Eritreo Sahara – Roma

Hai voglia di raccontarmi le tue esperienze di viaggi di gusto? Se si, scrivilo nei commenti raccontando quali in particolare e perché. Sono curiosissima! 🙂

Condividi su:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.